Tenendo conto di questa eventualità, quindi, quali elementi dovrebbero fungere da “campanelli d’allarme”? E come riconoscere una metastasi? Facciamo chiarezza.
Innanzitutto, occorre fare un’importante distinzione tra linfoadenopatia localizzata e linfoadenopatia generalizzata: la prima interessa una singola parte del corpo – in genere quella del collo – ed è ricollegabile, per lo più, ad infezioni ordinarie, che non richiedono particolari trattamenti medici, come nel caso del raffreddore o dell’influenza stagionale.
La seconda, invece, colpisce almeno due aree linfonodali del corpo (es. collo e ascella) e, il più delle volte, si sviluppa in conseguenza ad infezioni complesse, per le quali è necessario un trattamento specifico (es. mononucleosi, toxoplasmosi, gonorrea, AIDS e via di seguito).
Il rischio aumenta ulteriormente se, in diverse zone, i linfonodi:
- crescono in poco tempo e in assenza di un motivo apparente;
- raggiungono dimensioni superiori ai 2-2,5 centimetri di diametro;
- al tatto appaiono molto duri e “attaccati” alla pelle;
- rilasciano pus.
Altri fattori che dovrebbero mettere in allarme sono:
- dolore, arrossamento e infiammazione della parte circostante;
- presenza di sintomi concomitanti come: difficoltà respiratorie, febbre, sudorazione notturna, perdita di peso, spossatezza generale, ecc.;
- persistenza del gonfiore (e di eventuali altri sintomi) per più di due settimane.
In questi casi, dunque, la scelta migliore è rivolgersi ad uno specialista per effettuare i controlli ritenuti necessari, allo scopo di escludere la presenza di patologie che potrebbero mettere a repentaglio la salute. Ciò vale soprattutto per i soggetti maggiormente esposti al rischio di infezione da HIV (es. a causa di precedenti rapporti sessuali non protetti), tubercolosi (es. a seguito di viaggi in Paesi nei quali vi è un’incidenza elevata, rispetto a quella riscontrata in Europa) o cancro (es. parenti affetti da leucemia, linfoma o altre tipologie di tumori).